Un’indagine umana e sociale, un’esplorazione delle vite delle persone che risiedono nei centri di igiene mentale

La narrazione si articola attraverso una varietà di documenti, che includono fotografie, storie scritte dai pazienti e immagini catturate direttamente dagli stessi protagonisti. Questo approccio dà voce agli individui, che diventano autori consapevoli della propria biografia, e riflette la volontà di esplorare la complessità e la ricchezza delle loro esperienze.

La scelta di utilizzare la pellicola fotografica, anziché il digitale, sottolinea l’importanza dell’archivio tangibile e della materialità delle esperienze umane. Le fotografie non mirano all’estetica, ma all’essenza, offrendo uno sguardo autentico e sincero su un tema sempre presente, ma reso ancora più rilevante dall’attuale epidemia sanitaria.

La psichiatria è un tema controverso: verso l’alienato, deviato o malato mentale l’uomo qualunque prova Pietas o paura. Difficilmente si prova empatia. Perché?

Le molteplici sfaccettature della psichiatria contemporanea, sfida le percezioni comuni e le etichette associate alla malattia mentale.

Tentativo di indagare il concetto di isolamento, sia fisico che sociale, che a sua volta evidenzia il persistente stigma morale che circonda la malattia psichiatrica.

Il Covid ha fatto vivere a livello globale molte sensazioni che il paziente psichiatrico medio prova dapprima ancora fossero istituiti i manicomi nel XIX.

Chi si è ammalato di Covid (sopratutto durante la prima ondata)non era un malato normale, ma un “appestato”, uno che non ha rispettato le regole, un potenziale untore da cui bisogna stare lontani.

Il Covid ha fatto provare su larga scala la sensazione di isolamento coatto: la solitudine imposta in nome della sicurezza pubblica.


La filosofia insegna che la percezione dell’altro fa tutt’uno con la fenomenologia del sé. Ci si ri-conosce solo mediante l’altro, se l’altro ci considera pericoloso l’immedesimazione viene da sè.

Sicuramente la condizione del “malato psichiatrico” è migliorata dopo la legge Basaglia, ma non ci si è ancora liberati dal giudizio morale della malattia mentale.

La filosofia insegna che la percezione dell’altro fa tutt’uno con la fenomenologia del sé. Ci si ri-conosce solo mediante l’altro, se l’altro ci considera pericoloso l’immedesimazione viene da sè.

L’archeologia del diritto psichiatrico, come ai sensi dell’art. 1 della legge n. 36 del 1904 (modificato e completato dal R.D. 16 agosto 1909, n. 615 e dal R.D. 6 marzo 1913, n. 221) dice che dovessero essere “custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando fossero pericolose a sé o agli altri o riuscissero di pubblico scandalo o non fossero o non potessero essere convenientemente custodite o curate fuorché nei manicomi”.

. La riflessione alla porta tale articolo è: dal malato di mente bisognava difendersi. Lo conferma il fatto che lo psichiatra richiede(va) la necessità del ricovero a seconda dall’esito diagnostico di pericolosità verso sé e gli altri da sé.

I centri di igiene mentale rappresentano la sicurezza pubblica, paladino, custode e deterrente del chiasso della mente e dei deragliamenti della razionalità.